La dimensione quotidiana delle cose traslata in un'altra dimensione, quella delle sensazioni, delle suggestioni, delle visioni. Una dimensione che, naturalmente, presuppone uno spazio e un tempo entro i quali far vivere l'evento; uno spazio ed un tempo che siano la chiave di lettura e di interpretazione dell'immagine; ecco che nasce così l'idea di collocare gli oggetti/soggetti in un elemento, in un costituente fondamentale, in una parte del tutto che meglio di ogni altra sostanza sia in grado di coniugare il luogo ed il tempo: la sabbia era il luogo, il cielo era il tempo. Ecco trovata la dimensione cercata: tra cielo e terra! Il luogo è un deserto, forse, anzi, una spiaggia, una riva. La riva (o il deserto) diventa così il luogo dove vengono depositate le nostre paure, le nostre ansie; ed ogni cosa, ogni oggetto assurge a simbolo d'un profondo travaglio interiore che il nostro inconscio lascia affiorare come monito e testimonianza fino a che dal mare, dal cielo sopra il mare o dall'altra sponda (ma, c'è un'altra sponda?) riaffioreranno i segni di un'altra speranza, di un'altra chimera, di un'altra utopia.
Penso che la composizione in fotografia sia molto simile al ritmo in musica. Se si dispone di grande ritmo si ha anche un grande senso della composizione.
La composizione è un’eredità classica. Cioè, come le cose si collocano nell’ambiente, il loro posto e la loro grandezza, le relazioni tra gli oggetti e le persone, tra il fotografo e il suo soggetto, questi sono tutti elementi di un sentire classico.