Il cammino compiuto per ricercare i luoghi della memoria e per ripercorrerne con la mente i momenti più singolari, può essere assimilato al senso proprio del viaggiare: quell’arduo e faticoso procedere a ritroso nel tempo dentro i meandri della nostra mente, intrapreso per raggiungere l’indistinto territorio, apparentemente abbandonato, dove stanno gelosamente riposti i nostri ricordi più vivi.
Attraverso questo percorso, talvolta gravoso e aspro, talaltra leggero e sfuggente, la mente richiama alla coscienza del presente le antiche suggestioni dell’infanzia e dell’adolescenza, seppure, talvolta, in modo un po’ sfocato o, spesso, sfumato e deformato dai singolari effetti dell’inevitabile dilatazione temporale.
Appare subito evidente al visitatore che nelle fotografie esposte non c’è presenza di particolari sottolineature nell’uso del linguaggio fotografico: non c’è ricerca d’atmosfere, d’inquadrature ardite, di effetti coloristici, di angolature insolite; non c’è nulla, o quasi, che possa suscitare particolari sensazioni ed emozioni a quei visitatori che questi luoghi non hanno mai visto o non hanno mai abitualmente frequentato o intensamente vissuto.
Tutte le immagini, infatti, sono caratterizzate da una “normalità” quasi anonima, pregne di una quotidianità disarmante nella quale trovare e recuperare almeno un frammento di se stessi, particolarmente da chi, quei luoghi, ha frequentato e vissuto.
Un viaggio nel paesaggio della memoria, quindi, con il quale ritrovare quel senso profondo dell’esistenza che tanto ci ostiniamo a cercare o, come sostiene il fotografo e regista Wim Wenders, quel cammino nello spazio e nel tempo per mezzo del quale tentare di recuperare “il senso dei luoghi”, ripercorrendo con gli occhi e con la mente quell’indimenticabile stagione della vita che segna indelebilmente ogni nostro passo verso il futuro, ormai diventato continuo presente, ancora tenuemente colorato da un irragionevole senso di nostalgia per un tempo trascorso che non tornerà mai più.